Bagliori dell'eternità

Автор:
Prof. Viktorija Ukolova

Ci sono artisti che hanno il dono di sentire ed esprimere a fondo l’anima del proprio popolo. In questo senso, si può affermare che Ivàn Glazunòv è un artista “russo” nel pieno significato del termine. Nel suo lavoro, ciò che sorprende sono due caratteristiche ormai quasi scomparse nell’arte contemporanea: l’onestà e un trepido atteggiamento verso la vita.

Ivàn Glazunòv ha trovato la sua fonte di ispirazione nel Settentrione russo, scoperto già negli anni giovanili, e ad essa è rimasto sempre fedele. Qui si è conservata fino ai nostri giorni una realtà ancestrale, il tempo ha stretto un sodalizio con l’eternità e i boschi oscuri nascondono un incanto fiabesco. Il destino storico della Russia vi è inestri- cabilmente legato.

I paesaggi in cui Glazunòv ha ritratto il Settentrione russo occupano un posto particolare nella pittura russa contemporanea. Contemporanea non tanto per l’urgenza dei soggetti e la modernità dei mezzi espressivi, ma in quanto attinge alle profondità spirituali del tempo in cui l’artista sta vivendo. Glazunòv si distingue appunto per un forte senso della necessità di preservare, di “fissare” il grande dono della vita, senza trasformarlo in qualcosa di superficiale e accidentale.

I paesaggi sono uno dei generi prediletti dall’artista. Ivàn Glazunòv dipinge i boschi, i fiumi, i villaggi, le isbe e le chiese di legno del nostro Settentrione, ma i suoi quadri non mirano alla piacevolezza, né intendono riprodurre semplicemente la natura: rappresentano bensí, in primo luogo, l’espressione degli stati d’animo dell’autore, per mezzo di raffinatissimi giochi cromatici. è la voce dell’ani-ma, che parla attraverso un riflesso dell’esistenza “naturale”. E non è dunque un caso se i fiumi che vediamo sulle tele di questo artista non separano, ma uniscono le sponde, se il disgelo sulla Súchona non è minaccia di inondazioni, ma annuncio di primavera imminente, di nuova vita. Perfino l’austero bosco nordico, in modo inatteso, imprevisto, è manifestazione di una gioia esemplificata ora da un cespuglio in fiore, ora da un bagliore che filtra attraverso gli alberi, ora dai luminosi lacerti delle nuvole sovrastanti. In uno dei paesaggi piú intensi, dove lupi ululanti si lanciano minacciosamente verso un villaggio perso nella neve, la tensione drammatica viene alleviata dai bagliori bianco-rosati delle nuvole sopra tetti ricoperti di neve.

Il cielo del Settentrione russo appare sovente basso, spento. La luce è stemperata, sembra in agonia, sempre sul punto di dileguare. Tanto piú sorprendente è la capacità dell’artista di dipingere la luce e l’aria che circondano ogni albero, ogni filo d’erba, e si fondono con le acque in uno splendore soffuso. Caratteristica non solo dei paesaggi, ma di molti altri quadri di Glazunòv sono proprio tali bagliori che talora disorientano, nel contesto del mondo “concreto” rappresentato. Vengono percepiti non come luce fisica, ma come squarci di una realtà spirituale “altra”, come bagliori dell’eternità. Questa raffinatissima concezione e raffigurazione della luce inevitabilmente richiama l’eleganza di Valentín Seròv.

Per quanto Glazunòv dipinga secondo una maniera realistica, la definizione di pittore realista sarebbe quanto mai riduttiva. La verosimiglianza artistica della sua opera è scevra di ogni naturalismo. Dalla bellezza della natura settentrionale emerge un’altra, suprema Bellezza, che turba l’anima nel profondo e costringe l’uomo a ritirarsi in se stesso, per meditare sulle cose che contano.

Nei paesaggi di Glazunòv regnano la luce e l’aria. Delicate sfumature di azzurro, blu, grigio e verde, dell’intera gamma madreperlacea, eccitano l’immaginazione. Tutto è naturale e multiforme. E benché sia invalso l’uso di definire parca, se non scialba, la natura del Settentrione, l’artista è tuttavia riuscito a trasmettere un sentimento di estasi, per mezzo di sfumature soavi, quasi palpitanti, di una gamma cromatica oltremodo elaborata che per molti versi richiama i tipici colori della città di Venezia. Ecco perché la straordinaria casa rosata di ústjug somiglia alle case sui canali, e l’arcata del monastero Kiríllo-Belozèrski richiama campo SS. Giovanni e Paolo. Gli studi di Glazunòv emanano un fa-scino particolare: essi trasmettono la sensazione dell’istante, la gioia di un’inattesa scoperta artistica, un’immediatezza percettiva quasi infantile.

Ma la poesia del Settentrione si manifesta anche altrimenti, nel costume popolare russo, tanto amato dall’artista. Ivàn Glazunòv e la moglie Júlija si sono adoperati grandemente, nel corso delle loro escursioni, per scoprire, rimettere in sesto e custodire tutto lo splendore dei sarafàny, degli scialli, dei copricapo. L’artista ha cosí creato una serie di ritratti in cui le donne sono raffigurate in abiti, conservati per secoli nei bauli dei contadini, davvero stupefacenti per il colore vivido, le cuciture dorate e madreperlacee, le splendide fogge. In ognuno di questi ritratti, inoltre, non è prota-gonista solo la bellezza dell’abito, ma un’enigmatica femmi- nilità, allo stesso tempo pura e seducente.

Ivàn Glazunòv conosce il segreto dell’amore. In questo senso, è notevole il suo ritratto di famiglia. Egli raffigura te-neramente la moglie e le figlie. Queste ultime indossano antichi costumi russi. Davanti a noi si schiude la quieta armonia dell’esistenza, vediamo chi la elargisce e la preserva. Nell’opera di Glazunòv, moglie e figlie sono protagoniste in piú di un’occasione: Júlija, che di lí a poco avrebbe dato alla luce un bambino, ha fatto da modella per la tela L’attesa. Il momento piú alto nella vita di una donna ci viene svelato in modo semplice ed emozionante: è l’attesa di una nuova creatura e, insieme, la riscoperta di un mondo.

E l’attesa, questa volta di una rivelazione spirituale, permea anche i quadri dove vengono raffigurati i portali delle antiche chiese russe. Essi sono chiusi, ma nel ferro battuto che li adorna di nuovo si intravvedono bagliori dell’eternità.

La storia e l’eternità, nella sua ipostasi religiosa, sono gli elementi fondamentali che caratterizzano gli aneliti spiri-tuali e creativi dell’artista. Ed è veramente difficile, ai nostri tempi, dipingere in modo che la storia apra una breccia nel cuore dei contemporanei, senza che il quadro sembri una mera illustrazione di vicende passate. Nell’opera giovanile di Glazunòv Crucifige!, la figura del Cristo è sorprendente, come se tutto accadesse hic et nunc, e Cristo – sanguinante, con la corona di spine, coperto da una veste stracciata color del sangue – silenziosamente ci interrogasse: «Cosa scegli tu: il cammino della Verità, o quello del tradimento?».

La storia russa è costellata di figure femminili, rimaste famose per il loro spirito di sacrificio, la capacità di sopportazione, la santità. Evdokíja, vedova del gran principe di Mosca Dmítrij Donskòj, è una delle figure predilette dell’artista. Glazunòv le dedica una tela dipinta in modo pressoché cronachistico, riproducendo fedelmente i dettagli storici; e tuttavia, sul volto stremato della principessa si intravvede un bagliore dell’eternità.

Ivàn Glazunòv ha profuso sforzi notevoli nel recupero dell’arte sacra russa, a cominciare dagli affreschi della “Piccola” Chiesa dell’Ascensione a Mosca – a due passi dalla sua abitazione – su cui lavora ancora oggi. Egli ha altresí dipin-to le icone per la Chiesa della Madre di Dio in Trono presso la Gànina Jàma, nei dintorni di Ekaterinbúrg, un tempio eretto nel luogo in cui furono rinvenuti i resti dell’ultimo zar e della sua famiglia.

Nella pittura sacra, Glazunòv non mira né alla stilizzazione, né alla generalizzazione artistica. Il suo intendimento è che la pittura entri in modo organico a far parte della fisionomia storica di un tempio e dei suoi spazi, armonizzandosi con la storia e coi luoghi in cui fu edificato. In altre parole, seguire i canoni non significa affatto rinunciare all’improvvisazione e al pathos.

Ivàn Glazunòv è moderno continuatore di una tradizione intesa come trasmissione di arte e magistero, come retaggio di principi fondamentali, secolari della creazione artistica. Senza una base, non si costruisce nulla di solido, nulla di quanto esigono i tempi; ma essere contemporaneo significa anche stare in contatto col proprio tempo. Viene spontaneo pensare al Sermone 80 di Sant’ Agostino: «quales sumus, talia sunt tempora». E l’opera di Glazunòv fa sognare che questa nostra epoca non sia solo il tempo delle metropoli, del boom dell’informazione, delle minacce terroristiche, di un’umanità smarrita in un mondo che le è ormai estraneo, ma anche un tempo di speranza, di amore, di perfezionamento spirituale, di capacità di sentire nella propria vita bagliori dell’eternità.